Affidato a un grande emporio come lavoratore a tempo, deluso, dopo aver scoperto che la sua donna è, come lui, in libertà vigilata, detenuto prossimo alla scarcerazione decide di frequentare nuovamente vecchi amici della malavita, che gli propongono un colpo presso il magazzino in cui lavora. Sarà la sua fidanzata a convincerlo, attraverso un prodotto aritmetico, che il gioco non vale la candela.
È il film che chiude il cerchio alla trilogia noir langhiana sull'ingiustizia sociale, iniziata nel 1936 con
Furia e proseguita l'anno successivo con Sono innocente. Più di Fritz Lang, il quale voleva una commedia nera dai toni drastici basata sul ribaltamento del concetto ´il crimine non paga´, è piuttosto un lavoro dei suoi collaboratori: sceneggiatori, soggettista, il fido compositore Kurt Weill, oltre opprimenti ingerenze dei vertici Paramount. A conclusione, il regista trova un film goffo e impacciato, da lui espressamente mai amato, dove la problematica del reinserimento degli ex-carcerati è portata a livello di pura rappresentazione narrativa e l'impianto letterario è attraversato, incrociato, alterato da sipari che aleggiano tra gangster-movie, commedia operistica, musical di circostanza. Tra l'altro, Lang, ostile all'impostazione (si arrabbiò non poco per la persistente voce-off e quella sequenza del carcere in flashback operata in stile musicale), non riuscì a smontare la tesi del ´crimine non paga´, ben certo dell'esatto contrario, convinto assertore del tema ´si vive solo una volta´. Mai giunto nelle sale italiane, fu un vero disastro ai botteghini nordamericani.