
Cineasta americano che ha diviso la sua attività tra regia, produzione e ruoli da attore. Dichiaratamente di sinistra, d'idee liberali e progressiste, che ha sempre manifestato nei suoi lavori, inizialmente teatrali e televisivi, poi cinematografici, soltanto sul finire degli anni '50 riuscì a slegarsi dai vincoli maccartisti ormai caduti in prescrizione, che lo avevano ´imprigionato´ per tutti gli anni '40 impedendogli di lavorare, se non come docente presso l'Actors Studio, dove forma attori come Paul Newman, Rod Steiger e Lee Remick. Studia all'Elon College di Burlington e si laurea in legge presso la St John's University di Brooklyn (NY). Esordisce giovanissimo in teatro, a Broadway e nel cinema debutta da attore nel 1944 in Vittoria alata. Per il suo orientamento filocomunista, ogni attività a Hollywood è per lui bloccata dai bandi di proscrizione. Da regista, lavora saltuariamente in TV all'inizio degli anni '50 e nel 1957 può girare il suo primo film, Nel fango della periferia, opera di tendenza antirazzista. Terminata la caccia alle streghe, può finalmente dar sfogo al legittimo desiderio di rappresentare problematiche sociali derivate da ingiustizie di vario genere, con toni accentuati su questioni dettate dalle minoranze etniche. Crea il cinema d'impegno con lavori tipo Un urlo nella notte, La lunga estate calda e L'urlo e la furia, film che partono da una base teatrale che contraddistingue il percorso narrativo spesso accompagnato da un'agitata forma dei dialoghi. Negli anni '60 ottiene meritati successi conHud Il selvaggio (1963) interpretato da Paul Newman, spesso presente in diversi suoi lavori, come nel western Hombre del 1967. Nel 1965 realizza un singolare film di spionaggio, La spia che venne dal freddo e nel 1970 è autore de I cospiratori, riesumazione della lotta dei minatori irlandesi nel 1800. Con Il prestanome (1976), Woody Allen protagonista, rifà il verso all'epoca del maccartismo attraverso una commedia densa d'ironia ma anche di afflitte considerazioni. Nel 1979, con Norma Rea, fa dono al femminismo, alla contestazione studentesca e alle lotte operaie sparse all'epoca in tutto il mondo occidentale. Dopo altri film senza molte pretese (eccezion fatta per Pazza del 1987), chiude la carriera nel 1990 con Lettere d'amore, interpretato da Robert De Niro e improntato sul tema dell'analfabetismo. Muore d'infarto appena terminata la lavorazione. Martin Ritt è stato un regista non molto talentuoso, ma preparatissimo nella messa in scena e nella direzione degli interpreti; forse troppo attaccato ad una precostituzione ideologica, che ha dato sempre modo alla critica di dividersi in due parti quando chiamata a redigere commenti per i suoi lavori.
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