Il suo vero nome era Samuel Wilder. In un'ipotetica scala di valori, è sempre impresa ardua poter stabilire, anche approssimativamente, chi sia stato il migliore tra i registi hollywoodiani della Golden Age. Sicuramente Billy Wilder è tra le massime figure espresse dalla cinematografia mondiale d'ogni tempo, regista che nell'arco della carriera ha ricevuto più riconoscimenti artistici di chiunque altro collega, con ben 6 Oscar vinti e 14 nomination. Sceneggiatore e regista, ma essenzialmente autore, ha scritto e diretto opere inerenti al complesso sociale, rivolgendo particolare attenzione alle forme del vivere quotidiano, quelle che ci toccano da vicino, espresse sempre in forme chiare, lineari, spesso accompagnate da venature sarcastiche o, ancora, da vero e proprio cinismo, che riflette alla perfezione i mali comuni radicati nella società. Nel suo stile, emerge il senso pratico del racconto; non si affida semplicemente al filo narrativo della storia e, soprattutto, non ripete mai ciò che il pubblico ha già visto. L'esposizione è sempre in funzione del realismo e la visuale è allargata alla suggestione delle scene, al loro intreccio, all'adattamento del dialogo, al travestitismo o sdoppiamento dei personaggi (tema ricorrente in molti suoi film), a simboli espressi o sottointesi, ad invenzioni registiche non create ad arte ma dettate dal momento. Nella sua logica, la sceneggiatura non deve mai superare le 130 pagine e, tecnicamente, il film deve articolarsi soltanto attraverso il campo lungo, mezzo primo piano e primo piano, con inserti quando l'occasione li richiede per creare prospettive di maggior impatto. Ogni film da lui diretto ha un proprio significato, espresso o celato; l'identificazione finale raggiunge una sintonia pratica e poetica, dove l'uomo, pur sempre disonesto o cialtrone, è comunque vivo. Nella sua filmografia di regista, propria di 27 film, non esiste un solo caso dove, anche in lavori cosiddetti ´minori´, ci si possa esprimere negativamente alludendo ad una certa mediocrità del contenuto come riferimento alla scarsezza complessiva. Il percorso professionale di Billy Wilder, lungo 40 anni, è suddiviso da due generi: dramma e commedia; storie scritte in collaborazione con due grandi sceneggiatori, Charles Brackett (drammi) e I.A.L. Diamond (commedie). L'importanza di affidarsi sempre a interpreti collaudati è una delle prerogative di Wilder; nel corso della carriera ha stretto ottimi sodalizi con Ray Milland, Fred MacMurray, Erich von Stroheim, William Holden, Audrey Hepburn, Marlene Dietrich, Marilyn Monroe, Jack Lemmon, Tony Curtis e Walter Matthau.
Ebreo, compie gli studi di legge all'università di Vienna sbarcando il lunario come ballerino e intrattenitore nei locali della capitale austriaca. Una volta laureato, si appresta al giornalismo per qualche tempo, poi inizia a scrivere sceneggiature per il cinema sistemandosi contrattualmente presso la UFA di Berlino. Con l'avvento del nazismo ripara prima in Francia, dove dirige il suo primo film, il dramma Amore che redime (1934) interpretato da Danielle Darrieux. Nel 1936 si trasferisce negli USA e a Hollywood prosegue l'attività di sceneggiatore, inizialmente per la Universal, poi, definitivamente per la Paramount. Scrive soggetti per registi importanti come Lubtsch e Hawsk e si fa apprezzare per la stesura di Ninotchka (1939) che gli vale la prima nomination all'Oscar. Stanco di vedere i propri lavori diretti da altri, dal 1940 decide di passare congiuntamente alla regia dove fa il suo esordio americano con la direzione di Frutto proibito, romantica commedia interpretata da Ginger Rogers e Ray Milland. Dopo aver diretto I cinque segreti del deserto (1943), film bellico sulla figura del feld-maresciallo Rommel interpretato da uno straordinario Erich von Stroheim, nel 1944 realizza il suo primo capolavoro, La fiamma del peccato; noir intensissimo collocato nell'epoca attraversata dal secondo conflitto mondiale, quindi nel periodo della crisi che si apre alla rincorsa verso il denaro facile. La figura dell'assassino, che uccide il marito dell'amante per intascare il premio dell'assicurazione, è innalzata a livelli d'autentica eroicità, attraverso metafore che congiungono situazioni poste tra ravvedimento non manifestato, giustizia, confessione. La stesura non trova l'accordo dello sceneggiatore Charles Brackett che definisce il film ´autentica porcata´, soprattutto per la colorazione eroica dell'omicida. Wilder si affida alla collaborazione dell'esperto Raymond Chandler, scrittore di gialli per eccellenza ma poco pratico con il cinema e, più di altri, a quella del fotografo John Seitz, abile ricreatore di un ambiente pomeridiano filmato in interni, dove penombra e pulviscolo formano un atmosfera rarefatta perfettamente appropriata; e così anche per le scene notturne, girate al naturale. La fiamma del peccato si colloca ai massimi vertici della filmografia noir americana del ventennio '40-'50; completo e perfetto, con trovate geniali (le porte che si aprono al contrario), pagine di autentica suspance (l'automobile che non si mette in moto) e un percorso narrativo dettato in prequel dalla voce-off del protagonista. L'anno seguente dirige un altro grande film improntato sul tema dell'alcolismo, Giorni perduti, primo film che tratta la figura dell'alcolizzato in funzione drammatica e non comica; l'approfondimento è qui centrato sulla condizione del personaggio e sulla sua malattia, cronica e apparentemente senza via d'uscita. Wilder pretendeva Josè Ferrer, ma la produzione gli impose Ray Milland, già sotto contratto con la Paramount; e a conti fatti, andò meglio, come da esplicita ammissione del regista. Giorni perduti vince l'Oscar come migliore film dell'anno e Wilder riceve la prima doppia statuetta per regia e sceneggiatura. Nel 1945 torna in Germania per filmare un documentario, Death Mills, sui campi di concentramento, anche in ricordo della madre, la nonna e di tutti i suoi parenti uccisi a Auschwitz. Dopo Il valzer dell'imperatore e Scandalo internazionale (entrambi del 1948), nel 1950 dirige Viale del tramonto, altro capolavoro del cinema nero. Il film, finissimo atto d'accusa allo star-system hollywoodiano, è identificato nella resurrezione di Gloria Swanson, incontrastata vamp del cinema muto, ormai rivolta al teatro dall'inizio del sonoro. Wilder crea l'ambiente adatto attraverso uno stile di recitazione appropriato al tempo che fu. Dispone di personaggi mitici della cinematografia americana (Cecil. B. DeMille che recita se stesso, Erich von Stroheim che aveva già diretto la Swanson, con camei per Buster Keaton e H.B. Warner), pianifica la storia in tempo reale e descrive il mondo del cinema americano tracciato da aspetti torbidi dove fama, avidità e fallimento portano inevitabilmente alla rovina o alla pazzia. Il film non piacque per niente alle alte sfere dei maggiori studios e Louis B. Mayers, della M-G-M, il giorno della prima, si scagliò pubblicamente contro Wilder accusandolo di ingratitudine verso l'ambiente che gli dava da vivere; ma il film riscontrò un successo assoluto. Nel 1951 dirige Asso nella manica, inquietante denuncia al sistema giornalistico che non bada a mezze misure pur di raggiungere lo scoop, ma il film non trova accoglienza al botteghino. La realtà evidente mostrata nelle immagini, autoidentifica il protagonista (Kirk Douglas) a sembianze tipiche della gente comune; rappresenta così il male presente in ognuno di noi calcolato nell'avidità, nella rincorsa al successo, nel disprezzo verso il prossimo. Ma resta ugualmente un'opera d'indiscusso valore, soprattutto per la sintesi eroica del protagonista. Con Stalag 17 - L'inferno dei vivi (1953), il regista chiude bruscamente ogni rapporto con la Paramount. Il film narra le vicende di prigionieri di guerra rinchiusi in un lager tedesco; la produzione, per ingraziarsi il pubblico tedesco apporta una modifica sostanziale: sostituisce il cattivo di turno (tedesco) con un polacco. La rottura tra Wilder e lo studios è insanabile; dopo 18 anni di successi il regista abbandona la major e da qui, indipendente, cambia strategia. Lascia il dramma per passare alla commedia. In questo genere trova i migliori motivi; sa essere abbastanza ´cattivo´ nel manifestare vizi e virtù e molto cinico nel rappresentare tutto ciò che appartiene al privato. Inaugura il filone con Sabrina (1954), film che consacra definitivamente Audrey Hepburn come star indiscussa, poi riproposta in Arianna (1957) al fianco di Gary Cooper. Con Quando la moglie è in vacanza (1955) interpretato da Marilyn Monroe, Wilder tratteggia in satira l'invasamento erotico dell'americano comune e la corsa al consumismo degli anni '50. Nel 1957 dirige Testimone d'accusa, melodramma giudiziario a tinte nere, che assembla il noir alla commedia con un immenso Charles Laughton. È poi la volta di A qualcuno piace caldo (1959), numero uno della commedia cinematografica americana, dove, in una girandola di sketch, situazioni vertiginose e parodistiche, che viaggiano di pari passo tra sesso, travestitismi, omosessualità e morte, emerge la migliore interpretazione della Monroe, con la frase pronunciata nel finale da Jack Lemmon "Nessuno è perfetto!" che fece epoca. Nel 1960 dirige L'appartamento, film da 5 Oscar; commedia amara ricca di gag, costruita sul tema della solitudine e probabilmente ultimo capolavoro diretto da Wilder. In seguito, dirige Irma la dolce (1963, ancora sul tema del travestitismo), Baciami, stupido (1964, commedia fondata sugli equivoci), Non per soldi... ma per denaro (1966 cinico ritratto dell'avidità), Che cosa è successo tra mio padre e tua madre? (1972 con breve apparizione di Pippo Franco) e Prima pagina (1974, remake dell'analogo film di L. Milestone del 1931). Nel 1970 gira La vita privata di Sherlock Holmes, dove identifica il celebre investigatore in una sorta di cocainomane. Il film fu realizzato da Wilder in funzione della colonna sonora musicata da Miklos Rozsa (già suo compositore per I cinque segreti del deserto, La fiamma del peccato, Giorni perduti e in seguito Fedora). Il regista, favorevolmente impressionato dal concerto per violino e orchestra scritto da Rozsa nel 1953 per il violinista lituano Jaska Heifez, chiese al composer di poter assemblare per immagini l'intera partitura; unico caso, ad eccezione dei musical, dove un film sia stato concepito in virtù della colonna sonora e non viceversa.
Nel 1978 con Fedora rifà il verso a Viale del tramonto, nella sua opera forse meno ispirata. Chiude ogni attività nel 1981 con il burlesco e opaco Buddy, Buddy. Muore 94enne a Los Angeles. Marito di Judith Coppicus (due figli), divorzia per risposarsi con l'attrice Audrey Young. Su di lui sono state scritte un numero sterminato di opere biografiche; da ricordare l'autobiografia che lo stesso Wilder scrisse nel 1992 in collaborazione con Hellmuth Karasek e pubblicata in italiano con il titolo ´Billy Wilder, un viennese a New York´ e il film-intervista disponibile anche in DVD ´Billy, ma come hai fatto?´ di Volker Schlondoroff e Gisella Grischow. La Paramount, in ricordo, gli ha dedicato un intero padiglione all'interno dello stabilimento di riprese.
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